Bullismo: definizione, cause e psicologia del fenomeno

bullismo e psicologia - un bambino bullo urla ad una coetanea compagna di classe

Bullismo: definizione, cause e psicologia del fenomeno

Cosa intendiamo per bullismo? Negli ultimi anni il fenomeno del bullismo è spesso al centro delle notizie e dei fatti di cronaca, ma cosa intendiamo esattamente quando utilizziamo questo termine?

Storia della parola bullismo

La prima volta in cui il termine compare in letteratura risale al Rinascimento: Tommaso Garzoni nell’opera “La piazza universale di tutte le professioni del mondo” (Venezia, 1585). Il termine “bullo” si associa a «bravazzi, spadaccini e sgherri di piazza».

Successivamente, Alfredo Panzini lo include in un dizionario definendolo voce romanesca sinonimo di “smargiasso, bravaccio, teppista”.

Nel corso del tempo fino ai giorni nostri, il significato assume anche accezioni più attenuate, declinandosi verso comportamenti non necessariamente violenti ma se mai arroganti, da “gradasso”.

Bullismo, definizione

Il significato della parola viene quindi associato a comportamenti di violenza, prevaricazione, sopraffazione, umiliazione e prepotenza con accezioni più o meno gravi. Al giorno d’oggi possiamo dire che il bullismo non passa soltanto dalla violenza fisica, ma si riscontrano anche, nell’epoca dei social, la presa in giro sistematica su larga scala, l’umiliazione e l’irrisione pubblica.

Il bullismo è “un insieme di atti o comportamenti di prevaricazione e di sopraffazione” che si verificano in prevalentemente ambito giovanile ma non solo. Una serie di comportamenti aggressivi eterogenei che si manifesta con diverse azioni fisiche e verbali:

  • la più comune è l’uso di espressioni offensive attraverso parolacce, minacce e insulti;
  • prese in giro per l’aspetto fisico e il modo di parlare, o per qualsiasi altra caratteristica della persona;
  • prese di mira raccontando fatti non veri sul conto della vittima;
  • emarginazioni o discriminazioni per opinioni o provenienze diverse;
  • azioni fisiche (spintoni, botte, calci, pugni, rovinare o appropriarsi di oggetti personali).

Tra queste diverse azioni occorre fare una distinzione ben precisa tra due categorie: azioni dirette e azioni indirette.

Bullismo, azioni dirette e indirette

Per azioni vessatorie e offensive dirette si intendono forme di bullismo caratterizzate da un “attacco frontale tra bullo e vittima”. Possono perpetrarsi con offese o minacce volte a sminuire la vittima generando senso di vergogna e di sofferenza.

Quando invece si parla di azioni indirette, si intendono una serie di comportamenti che “non sono visibili”, perché viene a mancare il contatto fisico vero e proprio tra la vittima e il bullo. Le forme più diffuse di bullismo ad azione indiretta sono quelle che si verificano attraverso la diffamazione a mezzo pettegolezzi e/o calunnie, o forme di esclusione dal “gruppo dei pari”.

Caratteristiche del bullismo

Approfondiamo ora il fenomeno. Il bullismo può essere avere tre caratteristiche, ovvero può essere: sistematico, intenzionale e asimmetrico. Ma cosa significa esattamente?

  • Il bullismo attuato in maniera sistematica si verifica con “la reiterazione di una condotta disfunzionale, continuata e persistente nel tempo”;
  • il bullismo intenzionale ha per caratteristica la consapevolezza e l’intenzionalità del comportamento aggressivo messo in atto; si ferisce, danneggia o offende la vittima in maniera deliberata;
  • infine, nel bullismo asimmetrico, la relazione che fa da “sfondo” è caratterizzata da un rapporto interpersonale basato sulla “disuguaglianza” sia in termini di forza che di potere tra il bullo e la vittima: un soggetto è forte, e l’altro è debole e indifeso.

Tutte e tre le caratteristiche possono essere anche compresenti nel comportamenti bullizzanti.

Bullismo psicologico a scuola

Il fenomeno del bullismo, secondo le più recenti ricerche a livello nazionale, riguarda non solo l’adolescenza, ma si è registrato un incremento in età precoce, fino a registrare tale fenomeno all’interno delle scuole materne. La sensazione che il fenomeno riguardi solo gli adolescenti è dovuta al fatto che tali manifestazioni diventano più eclatanti e visibili in quella fascia d’età. Le azioni sono inoltre più gravi, più organizzate, predeterminate e lesive.

Il bullo è un giovane soggetto che, sfruttando una qualche posizione di – supposta – superiorità, realizza atti di prepotenza nel confronti di un pari. Queste prevaricazioni sono ripetute e non occasionali, e possono assumere la forma di una vera e propria persecuzione.

I soggetti caratterialmente o fisicamente “più deboli” e indifesi vengono dominati attraverso atteggiamenti prepotenti e aggressivi, e sottoposti ad angherie.

Caratteristiche del bullo

Ridurre il bullo al cattivo di turno è un grosso errore oltre che un limite nel giungere a riflessioni che conducano a strategie di contrasto opportune ed efficaci.

Tendenzialmente, il bullo presenta un atteggiamento di disimpegno morale e tende a “de-umanizzare” la vittima. Quando si parla di bullo occorre però fare alcune specifiche.

  • Iniziamo dal bullo indifferente: si tratta di un profilo pressoché incapace di provare empatia, pertanto distaccato e freddo: si tratta forse della forma più pericolosa in quanto talvolta predittiva di comportamenti antisociali.
  • Passiamo al bullo seriale, particolarmente affabile, affascinante e manipolatore, in grado di carpire informazioni su fatti e circostanze per essere sempre certo di uscirne “pulito”.
  • Con bulli relazionali si intendono quei ragazzi o quelle ragazze che vogliono mantenere il controllo attraverso forme di bullismo verbali o emotive, e sono mossi e/o mosse spesso da insicurezza o da un bisogno di sentirsi accettati.
  • Fa riflettere la figura del bullo-vittima che, come dice la coppia di parole, si riferisce al bullo che in passato è stato vittima a sua volta di bullismo o di violenza domestica all’interno delle relazioni famigliari.
  • Ci avviamo alla conclusione di queste identificazioni con la tipologia di bullo popolare, caratterizzato da una sicurezza di sé che trapela in ogni azione, compresa quelle di affermazione della propria supremazia con l’uso della forza. È colui che spadroneggia nella scuola per popolarità, condizione economica privilegiata e/o prestanza fisica.
  • Terminiamo con i bulli di gruppo, appartenenti appunto a gruppi con mentalità da branco, attuativi di un comportamento del tutto diverso quando si relazionano singolarmente, ma particolarmente pericolosi quando si verificano dinamiche gruppali.

 

Psicologia e conseguenze del bullismo sul perpetratore

Essere e rimanere prepotente nel corso del tempo può esporre il giovane soggetto al rischio di entrare in quella escalation di violenza e soprusi che consiste in un crescendo di piccoli episodi di vandalismo e piccola criminalità, fino a rischiare di infrangere in maniera vera e propria la legge. Questi bambini hanno quindi più probabilità da adulti di venire condannati per comportamenti antisociali.

Psicologia e conseguenze del bullismo sulla vittima

Dopo aver affrontato il fenomeno da parte dalla parte di colui che compie le azioni prevaricanti, esaminiamo ora le conseguenze su colui o su colei che le azioni le subisce, ovvero la vittima. Chi è bersaglio di attacchi di bullismo può manifestare diverse conseguenze negative, da un significativo e progressivo calo dell’autostima a manifestazioni di disagio come i disturbi alimentari, i disturbi tipici dell’umore e quelli del sonno, senza dimenticare una serie di possibili disturbi psicosomatici.

Il bullismo, che sia verbale, sociale o fisico, può portare la vittima a manifestare sintomi di ansia, stanchezza persistente, calo del rendimento scolastico accompagnato da un netto rifiuto nel volere andare a scuola. Problemi di concentrazione, e più comunemente tristezza, stress e in alcuni casi aggressività. Tali condizioni si possono ripercuotere sul sistema immunitario, portando a un basso livello di risposta allo stress.

Cause del bullismo

Il fenomeno è multifattoriale. Vediamo in questo elenco quali sono le possibili cause del bullismo, ovvero tutte quelle variabili che possono contribuire all’insorgenza del fenomeno. Iniziamo con i fattori di rischio e di protezione.

Fattori di rischio e fattori di protezione

Esistono dei fattori denominati rispettivamente di rischio e di protezione, che vanno presi in considerazione per analizzare il fenomeno multifattoriale e multidimensionale a 360 gradi.

Nello specifico, i fattori di rischio sono rappresentati dalle relazioni famigliari, dalle caratteristiche del temperamento, dalle difficoltà personali, oltre che dalle dinamiche di gruppo e da disturbi specifici e ben definiti.

Accanto ai fattori di rischio troviamo i fattori di protezione, tra cui vanno considerate: la storia personale (pregressi ed esperienze relative); le abilità cognitive; l’affettività e l’empatia; l’interazione sociale e la qualità del contesto sociale e ambientale. L’ambiente scolastico diventa determinante proprio perché si tratta del primo luogo in cui ci si confronta e ci si relazioni al di fuori dell’ambito famigliare.

Ecco le principali variabili in gioco:

  • CONTESTO CULTURALE: il fenomeno del bullismo si manifesta squisitamente nelle società che mostrano una certa tolleranza nei confronti della sopraffazione e del modello di forza-potere, e che incoraggiano la furbizia e la competizione. Le persone sono suddivise tra vincenti e perdenti, la sconfitta non è vista di buon occhio e viene esaltato il leader autoritario (non: il leader autorevole dotato di assertività!). I media o i videogiochi possono trasmettere modelli di violenza giovanile come sinonimo di forza, incoraggiando l’assenza di empatia per le vittime.
  • il GRUPPO: la maggior parte (quasi la totalità, secondo alcuni) dei fenomeni di bullismo avviene alla presenza dei pari. I componenti del gruppo possono assumere il ruolo di sostenitori, di osservatori o di spettatori indifferenti, diventando così complici dell’atto bullizzante come pubblico o come rinforzo. I pari svolgono quindi un ruolo determinante nel mantenere i comportamenti aggressivi nel gruppo. Inoltre, il gruppo assume una sorta di timore reverenziale nei confronti del bullo, ruolo che garantisce loro protezione e però impedisce di schierarsi contro di lui. La maggioranza silenziosa ha quindi un ruolo determinante nell’alimentare il circolo vizioso del bullismo.
    • Naturalmente, qualcuno dei coetanei può tentare di opporsi alle angherie del bullo e proteggere così la vittima, magari parlandone con i propri genitori o più spesso con gli insegnanti, laddove vi sia una possibilità di dialogo di buona qualità.
  • la DIFFUSIONE DI RESPONSABILITÀ: la psicologia sociale e dei gruppi ci insegna che, se i partecipanti all’azione bullizzante sono in più di uno, la responsabilità dell’atto si riduce perché viene distribuita su tutti i soggetti. L’azione aggressiva viene così promossa poiché si ha minor consapevolezza della gravità delle conseguenze.

 

Psicologia: dove si impara a fare i bulli?

bullismo in casa e in famiglia

Una menzione speciale tra le cause va riservata per il fenomeno dell’apprendimento dei comportamenti prevaricanti. Gli studi ci dicono infatti che si incorre maggiormente nel rischio di agire comportamenti aggressivi o prevaricanti se ne si è stati spettatori o vittime. Questo accade soprattutto se il “bullo” originario è una figura di riferimento (per esempio un genitore) vista come forte e coraggiosa, e che gode di stima da parte del figlio. Questo fenomeno viene denominato “identificazione con l’aggressore“: colui che ha sperimentato il ruolo della vittima, per uscirne e difendersene assumerà comportamenti prevaricanti identificandosi nel ruolo dell’aggressore.


Appare ora quindi evidente che il fenomeno del bullismo non riguarda solo a coppia bullo-vittima, ma che ha implicazioni sociali, educative, familiari e intergenerazionali. 


Bullismo, cosa si può fare

Negli ultimi anni, si sta comprendendo l’importanza di lavorare tanto con gli autori di tali comportamenti che con le vittime. Se infatti con la vittima occorre attuare una serie di azioni volte alla protezione e al supporto psicologico, con i giovani e le giovani in generale occorre una forma di prevenzione a 360 gradi.

Con gli attori ed autrici di bullismo è poi necessaria la partecipazione a percorsi di recupero volti ad interrompere il ciclo dei comportamenti prevaricanti e ad una assunzione di responsabilità degli stessi, al fine di prevenirne la reiterazione. Spesso, tali percorsi devono comprendere la rielaborazione di una eventuale traumatizzazione psicologica di cui si è fatta esperienza come vittime. Questo vale soprattutto per i soggetti cresciuti in famiglie che utilizzano la violenza e l’abuso di potere.

Possibili interventi

  • SCUOLA: Se la presenza del fenomeno risulta fortemente correlata al clima e alla dinamica interna al gruppo-classe, sul piano degli interventi diventa prioritario agire a livello di classe e di sistema scolastico nel suo complesso. Ciò significa incidere sulle dinamiche interne e sulle componenti interpersonali che sono alla base di condotte prevaricanti e di relazioni negative tra i compagni. Le ricerche hanno infatti dimostrato che affinché i risultati si prolunghino nel tempo, l’intervento sul processo di cambiamento deve riguardare non solo la vittima o l’attore del bullismo ma l’intero gruppo-classe e l’istituzione scolastica.

  • FAMIGLIE: diventa prioritario agire sulle famiglie, che rappresentano un fattore di protezione oppure di rischio, poiché sono loro che trasmettono lo stile educativo. Il modello parentale più efficace si conferma quello che coniuga controllo, regole e richieste, con affetto, dialogo e sostegno. Viene così favorita l’interiorizzazione sia di norme e valori proposti dai genitori, sia di modalità di rapporto sociale fondate sul rispetto e sull’ascolto. Al tempo stesso si promuovono le capacità di assumersi responsabilità e di rinegoziare, attraverso il dialogo, le regole e i ruoli.

Conclusioni

L’approccio di intervento al bullismo deve essere globale, sistematico ed ecologico. In tal senso importante diventa la rete, in quanto il singolo atto vandalico o di bullismo è sintomo che c’è un disagio non solo a livello della singola persona che lo compie, ma dell’intera comunità a cui appartiene.

Importante è creare una rete di interventi di azione e soprattutto di prevenzione e di promozione di una cultura psicologica in cui tutti gli attori del territorio devono essere coinvolti. Lo scopo deve essere quello di promuovere una cultura della convivenza, l’instaurarsi di un’etica sociale in cui non prosperi il culto della sopraffazione a discapito dei deboli e degli emarginati.


Psicologa Milano Psicoterapeuta Dott.ssa Chiara Venturi: per richiedere maggiori informazioni o una consulenza, puoi contattarmi attraverso l’apposito form contatti.

Qui puoi leggere come funziona la rielaborazione di traumi psicologici con la terapia EMDR.


Ringrazio la collega Dott.ssa Nicoletta Piccitto per il contributo nella stesura di questo articolo.