Bambino interiore: come diventare dei buoni genitori di se stessi

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Bambino interiore: come diventare dei buoni genitori di se stessi

Quello del “bambino interiore” è uno dei concetti con cui il lavoro psicologico o psicoterapeutico ci chiede costantemente di confrontarci, non senza imbarazzo.

Infatti, con tutti i notevoli sforzi compiuti per diventare adulti, può risultare irritante o sconfortante essere messi a conoscenza che dentro di noi abita ancora da qualche parte un “bambino interiore”.

In realtà, dentro di noi conserviamo una versione di tutte le “persone” che siamo stati: nelle pieghe della nostra memoria abitano ancora un adolescente confuso, un bambino arrabbiato o geloso, un neonato affamato. Nessuna di queste versioni di noi scompare mai del tutto, permangono come parti di noi che vengono aggiunte nel corso della vita, come gli anelli di un vecchio albero si stratificano intorno al midollo: sono sempre visibili i segni delle circonferenze precedenti e più antiche.

Quando il bambino interiore è sofferente

Secondo le teorie psicologiche, probabilmente qualcuno dei nostri “bambini interiori” non sta ancora particolarmente bene. Probabilmente sta ancora facendo i conti con un dolore che non sa come gestire, con una perdita per cui non sa chi incolpare, si sente solo, angosciato o prova vergogna. In questi casi, è probabile che gli adulti di riferimento, le figure di attaccamento primarie, non siano stati in grado di prendersi cura del bambino reale.

Come si manifesta il bambino interiore

Malgrado tutto il dolore, spesso il bambino interiore è silenzioso, è questo rappresenta precisamente il problema: crea disagio non perché sia troppo presente, ma perché non è stato ascoltato a sufficienza. È stato anzi messo da parte. Il suo pianto è stato ignorato e poi dimenticato: si potrebbe dire che è stato rinchiuso in una stanza insonorizzata dalla quale non esce alcun suono. Ma il bambino interiore è ancora lì: esiste.

Facciamo continuamente i conti con fantasmi indesiderati e irrequieti che non sono stati né capiti né placati – e la loro infelicità, ignorata, minaccia il corso delle nostre vite adulte.

Come guarire il bambino interiore attraverso la rigenitorializzazione

Per guarire il bambino interiore sofferente c’è un compito che possiamo svolgere, che si esprime con una parola un po’ bizzarra: il reparenting, ovvero la “rigenitorializzazione“.

Cos’è la rigenitorializzazione

Il bambino interiore deve essere identificato insieme alle sue specifiche problematiche e difficoltà, che chiedono di essere lenite e calmate. In un mondo ideale, sono i genitori stessi (le figure di attaccamento primarie) a svolgere questa funzione quando siamo piccoli e si presentano le difficoltà. Ma, nel mondo reale, alcuni di questi bisogni possono essere rimasti insoddisfatti. La buona notizia è che, anche da adulti, possiamo “correggere” questo stato delle cose: possiamo – da adulti – diventare noi stessi “genitori” del bambino che siamo stati.

Come funziona la rigenitorializzazione del bambino interiore

Dobbiamo raccogliere le nostre capacità adulte – la gentilezza, la capacità di rassicurare, l’empatia, la compassione, la generosità, il calore affettivo – e direzionarle verso il bambino interiore di tre, cinque o quindici anni, che ancora esiste nella nostra anima e nella nostra mente. Dobbiamo fare l’inventario delle preoccupazioni di questi piccoli personaggi dentro di noi, e supportarli e aiutarli in un modo in cui, forse, non lo sono mai stati.

Possiamo aiutare così noi stessi nel tempo presente: la nostra personalità adulta poggia infatti sul bambino che siamo stati, e se il bambino interiore sta bene ed è stabile e solido, allora possiamo esserlo anche noi nell’oggi.

Come possiamo parlare al bambino interiore

Possiamo per esempio immaginare cosa avremmo voluto sentirci dire da una persona buona e gentile in passato. Anche se si tratta di una fantasia, generalmente questa operazione ci fa commuovere e può farci provare una profonda e amorevole compassione per i nostri sé precedenti. Probabilmente entreremo in contatto con quella tristezza infantile rimasta inascoltata, ma che oggi ha la possibilità di essere vista, accolta ed elaborata.

Generalmente, l’esercizio di rivolgersi e parlare al bambino interiore produce sollievo, e può essere ripetuto quotidianamente, magari prima di addormentarci ogni sera. Possiamo andare a trovare il nostro bambino interiore, e portargli in dono una dose extra di conforto e di tenerezza attraverso delle parole dolci e amorevoli. In questo modo potrà sentirsi più tranquillo. E noi, insieme a lui, potremo riposare meglio.

Attività per curare il bambino interiore e dialogare con lui

Il viaggio per curare il bambino interiore è un viaggio difficile. Significa guardare indietro alle esperienze infantili di abbandono, rifiuto o abuso psicologico. Questo viaggio richiede la capacità di entrare in contatto con il dolore emotivo che gli adulti non sono stati in grado di lenire, con quella parte di noi che ha fatto esperienza di quelle ferite. Quando avevamo bisogno di essere protetti e non c’era nessuno a farlo. Si tratta di imparare a diventare quell’adulto protettivo e attento di cui avremmo avuto bisogno: è proprio questo il punto.

Cosa possiamo fare quindi per aiutare il bambino interiore a curare le proprie ferite?

  1. SCRIVERE UNA LETTERA: spiegando “senza filtri” come ci sentiamo, e le nostre emozioni. Scrivendo queste lettere abbiamo la possibilità di esprimere tutti i sentimenti e gli stati d’animo a cui non abbiamo avuto la possibilità di dare voce per un lungo tempo, e sicuramente non da bambini. In molte culture familiari, infatti, non c’è l’abitudine ad ascoltare le opinioni e le emozioni dei bambini, a chiedere loro come stanno. E questo ci abitua a non essere assertivi rispetto ai nostri bisogni. L’intento non è quello di consegnarle poi ai rispettivi destinatari, ma di creare uno spazio fisico e mentale per esprimere tutto quello che vogliamo: anche rabbia, risentimento, bisogni, paure, o sentimenti di delusione.
    Ci possono essere molti attori coinvolti in questa dinamica, a cui possiamo rivolgerci:

    1. i genitori che abbiamo;
    2. i genitori che avremmo voluto avere;
    3. il nostro bambino interiore di tre, cinque o sette anni: l’età che avevamo quando abbiamo sperimentato le nostre ferite;
    4. il me futuro, passato, o presente;
  2. RIMANERE IN DIALOGO CON SE STESSI: parlare al proprio bambino interiore durante la giornata, e non giudicarci quando proviamo un’emozione soverchiante. Si tratta di parlare a se se stessi con gentilezza, comprensione e self compassion in modo costruttivo, evitando parole come “dovresti/non dovresti” ma usando temini come: “sarebbe proprio bello/utile se…“, “avrei proprio bisogno di…“, “mi piacerebbe…“;
  3. GIOCARE: permettersi attività di espressione ludiche o anche artistiche (disegnare, giocare con il pongo, giocare con i gavettoni o a palle di neve, ridere e divertirsi, etc.);
  4. DEDICARE TEMPO AL RIPOSO: quando siamo emotivamente o fisicamente esausti, è cruciale fermarsi e dedicare del meritato tempo ad una pausa, o a rilassarsi, e dormire a sufficienza. Avere cura di questi aspetti ci ricorderà che i nostri bisogni sono importanti;
  5. CERCARE AIUTO PROFESSIONALE: uno psicologo psicoterapeuta potrà accompagnarti in questo viaggio con tutti gli strumenti che ha a disposizione per la tua crescita personale e per la tua guarigione.

 

Conclusioni

Tutti noi tendenzialmente sappiamo come rivolgerci e trattare i bambini intorno a noi: la vera liberazione ci aspetta quando impariamo finalmente a trattare il bambino dentro di noi con la stessa pazienza e tolleranza, con calore e amorevole incoraggiamento.

 


fonti e approfondimenti sul bambino interiore: The School of Life e Therapy, Explained


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