Complottismo: cosa si nasconde dietro la psicologia complottista?

complottismo e psicologia complottista

Complottismo: cosa si nasconde dietro la psicologia complottista?

Cosa si nasconde dietro il complottismo? Questo il provocatorio titolo dell’evento organizzato dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia il 18 gennaio 2021. L’evento online, aperto agli psicologi ma anche alla cittadinanza, aveva la finalità di approfondire le dinamiche della psicologia complottista, per una maggiore comprensione degli atteggiamenti delle persone verso alcuni eventi e periodi storici come quello attuale di pandemia Covid. L’Ordine degli Psicologi ha invitato tre esperti* del settore a presentare il loro punto di vista e a dibattere sull’argomento.

Nella serata in oggetto, il dibattito ha offerto degli spunti per comprendere le ragioni e i vantaggi psicologici di questo atteggiamento mentale, oltre a sottolineare i limiti che non dovrebbero essere valicati.

Quello del complottismo e delle conspiracy theories è un fenomeno molto attuale che può assumere sfumature di radicalità, con ricadute importanti dal punto di vista concreto e pratico, soprattutto nel momento in cui la narrazione passa all’azione.

Non si tratta più di un fenomeno di nicchia: tutti noi ne sentiamo parlare molto spesso.

Complottismo: definizione

Il complottismo è definito come un atteggiamento mentale che tende ad interpretare gli accadimenti attraverso una lettura alternativa a quella “mainstream”: gli eventi vengono interpretati come parte di un complotto. Secondo questa corrente, la comunicazione “normale” tende quindi a nascondere dati, collegamenti di causa-effetto o parte della verità. Il complottista aderisce a narrazioni estreme e ritiene che dietro a molti fatti si nascondano supposte trame o cospirazioni nascoste.

Il fenomeno è particolarmente frequente in caso di grandi eventi che coinvolgono la sfera politica, sociale o economica, oppure, come nel caso del periodo attuale, quella sanitaria.

Il complottismo non è confutabile

Si rileva che “smontare” le teorie complottiste fornendo ragionevoli motivazioni, che ne evidenzino i limiti, non è possibile con chi ci crede fermamente. Anzi, il fatto che ci sia qualcuno che vuole mettere in dubbio o smascherare quel credo, rappresenta una conferma della correttezza dello stesso: c’è qualcuno che vuole smentire “la verità”. E le idee “alternative” si rafforzano.

Atteggiamento complottista e posizioni estreme

Le narrazioni e le posizioni estreme sono spesso protagoniste della psicologia complottista.
Internet ha agevolato la comunicazione tra le persone, permette di conversare in maniera rapidissima, ma non permette un confronto corretto e umano come nella vita reale. Nel dialogo online, le opinioni tendono a rafforzarsi verso descrizioni radicali della realtà.
Alla luce dei recenti eventi di ordine socio-politico, dovremmo quindi evitare di polarizzarci verso l’aggressività e gli estremismi – sempre pericolosi – mettendo da parte le ideologie. Dovremmo prediligere la scala di grigi anziché una visione nero-bianco.

Tendenza al complottismo: alcuni dati

Uno studio di Mancuso del 2017 ha intervistato un campione italiano di oltre duemila persone, a cui sono state proposte quattro teorie complottiste su diversi argomenti (come lo sbarco sulla luna, le scie chimiche, il metodo Stamina, i vaccini etc.), chiedendo ai partecipanti se credessero a queste teorie: il 47% dichiarò di credere ad almeno una teoria complottista, mentre il 10% a tutte e quattro.

Come possiamo spiegarci quindi l’elevata incidenza del fenomeno? Come mai così spesso mettiamo in discussione le versioni istituzionali o ufficiali?

Le premesse del complottismo: la nostra mente è imperfetta quando interpreta gli eventi e prende decisioni

Daniel Kahnemann, nella sua pietra miliare dal titolo “Pensieri lenti e veloci” ci racconta che i meccanismi cognitivi che sottostanno ai nostri processi di pensiero e decisionali sono parziali e soggetti ad errori. Di fronte a fenomeni complessi, e nell’elaborare le molte informazioni con cui entriamo in contatto, utilizziamo delle “euristiche“, ovvero delle scorciatoie per arrivare alle conclusioni. Questa strategia ha delle origini evoluzionistiche: ai fini della sopravvivenza, i nostri antenati non avevano tempo per valutare e soppesare in maniera approfondita i pro e i contro di ogni sfaccettatura: dovevano decidere velocemente, e possibilmente garantirsi la sopravvivenza. Anche se oggigiorno la maggior parte di noi non ha problemi di sopravvivenza quotidiana, le euristiche continuano a lavorare dentro di noi sotto forma di “intuizioni” che sottendono le nostre scelte e ai nostri comportamenti.  Ci affidiamo quindi ad un procedimento “veloce” che però ha delle falle: i cosiddetti “bias” cognitivi.

Solo chi è davvero esperto in un dato argomento, riesce a fare valutazioni veloci, efficaci e intuitive in maniera corretta. I comuni mortali, generalmente, sbagliano. Soprattutto quando la complessità dell’argomento è molto elevata.

I bias cognitivi

Si tratta di distorsioni nel giudizio, errori sistematici, automatici e inconsapevoli, e fondati sul pregiudizio, che la nostra mente compie nell’interpretare eventi, nel dare un significato, o nel valutare le situazioni. Si tratta di scorciatoie mentali che ci permettono di trarre conclusioni – inesatte – quando elaboriamo informazioni. Questi filtri mentali intuitivi hanno il vantaggio di arrivare ad interpretazioni in maniera ottimizzata, rapida e veloce, a differenza del processo razionale che è più lento e ponderato (e quindi più faticoso).

Ne sono state identificate circa un centinaio di tipologie, eccone alcuni esempi:

  • il bias di proiezione: ci porta a credere che la maggior parte delle persone la pensi come noi;
  • il bias di conferma: nella ricerca e selezione delle informazioni, hanno maggior rilevanza le informazioni che confermano le nostre ipotesi iniziali. Le informazioni incoerenti vengono escluse. Frequentiamo più volentieri le persone che la pensano come noi, ed evitiamo così la dissonanza cognitiva;
  • bias di rappresentatività: non diamo uguale peso a tutte le informazioni – valutiamo come più rilevanti le opzioni più rappresentative e più disponibili, basandoci su dei pregiudizi e ignorando le leggi della probabilità;
  • bias di semplificazione: consiste nella tendenza del nostro pensiero a semplificare lo stato delle cose per rendere un problema gestibile e controllabile. Possiamo ricordare come, agli inizi della pandemia, quindi in un momento di grande confusione, incertezza e precarietà, diverse persone hanno ceduto alla tentazione di attribuire tutta la responsabilità dei contagi a coloro che “facevano jogging senza mascherina”, ignorando che la situazione era ben più complessa di così. La motivazione è evidente: quando abbiamo un grande bisogno di conferme, cerchiamo spiegazioni semplici per un mondo troppo complesso.

 

La psicologia sociale spiega la psicologia complottista

A che tipo di esigenza rispondono le teorie complottiste? La Dott.ssa Caterina Suitner, Professoressa Associata presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova, prova a rispondere a questa domanda.

Quali sono le cause, i fondamenti e le caratteristiche della psicologia complottista?

Secondo alcuni autori possiamo identificare quattro principi fondamentali:

  1. Il complottismo è ubiquitario: molti eventi recenti sono di grande impatto e pregnanti per noi. Ma anche nel corso della storia dell’umanità, l’essere umano ha sperimentato molte teorie complottiste (e anche complotti reali) con conseguenze politiche e pratiche molto rilevanti.
  2. Hanno conseguenze di grande impatto nella società.
  3. Hanno a che fare col pensiero emotivo e fanno leva su emozioni di base, come per esempio la rabbia. Questa è la ragione per cui molte teorie complottiste diventano particolarmente rilevanti nell’opinione pubblica.
  4. Hanno una componente sociale: le teorie complottiste esacerbano attriti e contrasti tra gruppi diversi (a questo proposito, possiamo citare i riferimenti alla divisione politica bipolare americana a Capitol Hill, oppure la leva narrativa del complottismo nella contrapposizione tra gruppi sociali nella Shoah).

 

La teoria complottista sfocia spesso in conseguenze importanti e reali a tutti i livelli: nelle relazioni interpersonali, nelle questioni legate alla sicurezza e alla sfera della salute individuale e pubblica, nonché nella scena politica e nello sviluppo sociale.

La parificazione tra le conclusioni scientifiche e le opinioni dei singoli: il false balance effect spiega la psicologia complottista

Quando cerchiamo informazioni in internet incappiamo in diverse prospettive, in una pluralità delle informazioni: questa caratteristica della rete è anche la sua utilità e la sua ricchezza, ma come sappiamo non è affatto priva di rischi.

A questo proposito, il Dipartimento di Psicologia di Padova ha condotto uno studio per indagare un processo mentale che si chiama false balance effect (effetto del falso bilanciamento). Quando in un dibattito presentiamo un’informazione accreditata dal mondo scientifico, e la contrapponiamo a un’informazione che rappresenta una visione parziale e minoritaria di opinioni di singoli, creiamo un bilanciamento in chi ascolta: gli utenti percepiranno le due fonti come parimenti autorevoli. Sappiamo però che il metodo scientifico arriva a raggiungere delle conclusioni – seppur parziali e mai definitive – attraverso un accumulo delle conoscenze. Il singolo individuo propone le proprie conclusioni su una base decisamente meno solida, ovvero senza basi scientifiche su cui fondarle. L’effetto di false balance fa sì che le persone diano comunque credito a quest’ultima prospettiva e avranno dubbi sulla credibilità della scienza, o penseranno che la scienza stessa è divisa rispetto al tema affrontato. Quando mettiamo in contrapposizione la versione scientifica e le opinioni dovrebbe essere invece chiaro che i due livelli non possono essere equiparati.

Nell’esperimento, effettuato sull’affidabilità dei vaccini, la conseguenza di questa parificazione è stata una ridotta fiducia nella pratica vaccinale: la narrativa complottista aveva preso piede nei processi di pensiero e decisionali delle persone.

Teorie cospirazioniste e ricadute pratiche

L’atteggiamento verso i vaccini è stato oggetto di un’altra analisi correlazionale che ha studiato il periodo 2004-2010, anni in cui è arrivata in Italia la notizia della presunta associazione tra vaccini e autismo (pubblicazione del 1998 di A. Wakefield, rivelatasi poi fraudolenta). In quel lasso di tempo, si osserva anzitutto una maggiore ricerca di informazioni sui vaccini in internet, e, pur avendo la scienza chiaramente dimostrato l’assenza di una associazione causale, sono crollate drasticamente le coperture vaccinali nel nostro Paese.

Vediamo quindi come le narrazioni che arrivano alla popolazione in un dato momento storico, hanno importanti ricadute pratiche nell’influenzare opinioni e decisioni.

Come ricerchiamo informazioni tramite google: confirmatory bias

Uno studio sperimentale ha mostrato come le persone cercano informazioni per confermare proprie ipotesi iniziali. Le persone tendono ad utilizzare parole chiave che già indirizzano la ricerca nella direzione della loro opinione. Chi aveva atteggiamenti misurati e positivi verso la vaccinazione, utilizzava termini più positivi nella ricerca delle informazioni. Chi invece aveva un atteggiamento negativo nei confronti della vaccinazione, tendeva a utilizzare parole chiave come “rischio” o “conseguenze negative” con una spiccata connotazione verso una certa direzione. Naturalmente, i risultati di ricerca di google mostreranno informazioni congruenti  con quello che ci aspettiamo.

Quali funzioni psicologiche svolge il complottismo?

A quali bisogni importanti risponde il complottismo, soprattutto in un periodo di grande precarietà come quello attuale? È possibile elencarne almeno quattro:

  1. BISOGNI EPISTEMICI, ovvero il bisogno di capire. Nel nostro mondo complesso, difficilmente le risposte sono nell’ordine del bianco/nero, si/no. Difficilmente le risposte sono così secche e immediate, e questo per la nostra mente è frustrante. Rispetto alla pandemia da Coronavirus, abbiamo poche risposte certe, se mai ci vengono proposte molte prospettive – spesso antitetiche – offerte da singoli medici. La risposta assolutistica ed esplicativa complottista, che fornisce “la verità”, ci toglie da questa impasse e risulta, in questo senso, rassicurante.
  2. BISOGNI ESISTENZIALI: tutti abbiamo bisogno di sapere che siamo in controllo degli eventi, e che non siamo in balia di un evento o di un potere forte. Questo timore viene contrastato dalla teoria complottista in quanto permette di “tagliare” i fili che ci legano a burattinai potenti che abbiamo smascherato. Questo processo mentale ci da la sensazione di essere più liberi e in controllo.
  3. BISOGNI SOCIALI di appartenenza e affiliazione: le persone cercano conforto nei gruppi in cui poter condividere un’identità, valori, paure, piaceri e rabbie comuni. Il gruppo che aderisce alla teoria complottista è compatto e quindi protetto dalle incertezze e dalle minacce esterne. In gruppo è possibile fare fronte ai nostri bisogni con più forza, ci sentiamo inclusi e possiamo così partecipare ad un discorso politico o sociale da cui potremmo sentirci invece alienati come singoli cittadini: possiamo combattere i “poteri forti” che tendono ad escluderci.
  4. inoltre, la convinzione di non essere una persona manipolabile, di non essere sensibile alle prese in giro delle Istituzioni, ci fa sentire più intelligenti e rafforza la nostra autostima.

 

Le teorie complottiste non vanno quindi demonizzate, in quanto rappresentano anche un motore di cambiamento e un segnale importantissimo per cogliere quali bisogni sociali stanno emergendo.
I dati delle ricerche mostrano come la tendenza al complottismo aumenta proprio quando le persone sono esposte ad disuguaglianze, e le rendono più pronte ad agire collettivamente e a protestare contro le ingiustizie.

Come riuscire allora a distinguere un’informazione sana e corretta dalle fake news fuorvianti?

Il tema sembra essere molto complesso e non abbiamo risposte definitive. Ecco alcuni suggerimenti:

  • considerare che siamo tutti a rischio di incappare in “fake news”, soprattutto in situazioni complesse come quella attuale, in cui abbiamo bisogno di certezze e di risposte;
  • conservare un sano atteggiamento critico, verificare sempre i contenuti escludendo simpatie e antipatie, indipendentemente da chi diffonde le informazioni – anche se emanciparsi da una posizione ideologica ed evitare incorrere in bias cognitivi è pressoché impossibile;
  • considerare che tutte le risposte, anche quelle “mainstream” e scientifiche, sono parziali e temporaneamente “vere”;
  • spesso la migliore risposta saggia è “non lo so”;
  • evitare di chiudersi nelle cosiddette “echo chambers”, ambienti in cui le narrative si consolidano, le idee o le credenze condivise vengono rafforzate dall’interno. Sono ambienti impermeabili a idee diverse, e chiuse al dialogo con l’esterno. Bisogna privilegiare invece una dialettica costruttiva e aperta;
  • dialogare con persone diverse da noi, che la pensano in maniera antitetica;
  • non demonizzare mai processi né i fenomeni: i processi euristici e i bias stessi hanno una funzione evolutiva e una loro utilità. Siamo anche fatti di istinto e di emozioni: non si può vivere di sola razionalità.

Infine: non prendiamoci troppo sul serio e pratichiamo una sana autoironia.


L’articolo è una rielaborazione commentata dell’evento citato. Qui puoi accedere alla videoregistrazione originale dell’evento su youtube.
*Relatori:
David Puente, debunker e fact checker responsabile per open.online
Fabrizio Quattrociocchi, docente universitario in informatica e scienze cognitive presso l’Università di Bologna
Caterina Suitner, Professoressa Associata presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova
Davide Baventore: moderatore.


A questo link, consigli utili per affrontare le incertezze del periodo di pandemia e sviluppare la resilienza.