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Le “rage rooms”

rage rooms

Le “rage rooms”

Sei arrabbiata? Prova la stanza dello sfogo

C’è un posto dove sfogare la propria rabbia urlando e spaccando tutto è concesso. Si chiama proprio così: “rage room”, la stanza della rabbia. Dopo aver conquistato americani e giapponesi, ha cominciato a spuntare in varie città d’Italia, da Milano a Roma, da Rimini a Bari, accogliendo manager stressati, amici traditi, cuori infranti e chiunque avesse voglia di esprimere la propria collera nel modo più rudimentale possibile. La sensazione? Elettrizzante, liberatoria, almeno nell’immediato. Ma un sentimento così complesso e delicato va gestito ed elaborato, avvertono gli psicologi.

Rage Rooms: un posto dove (quasi) tutto è lecito

Anger Games, Time Out, Rage Cage. Cambiano i nomi, ma la formula è la stessa. Entra, distruggi ed esci. Funziona così: ci si iscrive online o telefonando, ci si presenta il giorno e l’orario pattuito e si viene addestrati dagli addetti ai lavori circa il regolamento e l’uso corretto del luogo. Armamentario della rabbia (mazze da baseball, ferri da golf, badili, piedi di porco), vestiario antinfortunistico e kit di oggetti da rompere vengono forniti dal personale. Non è consentito distruggere altro né manomettere il locale (microfoni e telecamere controllano che le norme vengano rispettate e il personale supervisiona il cliente durante tutta la permanenza). Per il resto tutto è lecito: scegliere la musica di sottofondo, gridare parolacce o inveire contro il capoufficio (la sala è insonorizzata), persino portare da casa il servizio di porcellana della suocera da sterminare insieme al resto. La sicurezza degli utenti è garantita, il servizio è riservato ai maggiorenni in buone condizioni di salute e si entra uno per volta, anche se alcune strutture prevedono la possibilità di esperienze in coppia o in gruppo. Il tutto immortalato da un video, da ritirare all’uscita.

La “scatola” della rabbia

«La stanza è un “contenitore” ideale della rabbia: riconosce, e convalida momentaneamente, un’emozione considerata socialmente sbagliata, riprovevole, dandole la possibilità di esprimersi in tempi e modalità protette», spiega la dottoressa Chiara Venturi, psicologa e psicoterapeuta a Milano e Rimini. «Reprimendo tutti i giorni ira e stress, ci sentiamo intrappolati, frustrati, impotenti. Ma se è giusto tentare di contenere queste emozioni, non bisognerebbe reprimerle del tutto». Se non trovano uno sfogo adeguato, secondo gli esperti le emozioni negative non solo ci rendono infelici e insoddisfatti, ma possono far male alla salute, aumentando il rischio di patologie cardiovascolari, aumento di pressione, reflusso gastroesofageo, bruxismo.

Perché piace tanto?

La rage room piace soprattutto alle donne tra i 25 e i 40 anni. Non solo single deluse e mogli arrabbiate. C’è chi sfoga un risentimento a lungo represso, chi è in ansia pre-esame, chi vuole solo divertirsi e ridere di gusto. «È uno “spazio” fisico e temporale di completa libertà, un “sogno proibito” per molte persone», spiega la dottoressa. «Se finora ha avuto successo, significa che risponde a un bisogno comune: regalare un immediato sollievo, perché consente di trasferire la rabbia dal dentro al fuori. A medio termine, può essere utile per evitare che la collera venga espressa in modi e luoghi non idonei, per esempio nelle relazioni personali o sul lavoro, prevenendo un accumulo di stress o un utilizzo dell’aggressività che potrebbe esplodere altrove e danneggiare se stessi o gli altri. Va bene se utilizzata occasionalmente, magari in un momento di particolare tensione. Ma se diventa un’abitudine, significa che qualcosa non va nel modo in cui si sta gestendo la propria vita».

Per chi sì e per chi no?

«È un’attività adatta a chi è padrone dei propri sentimenti», spiega la psicologa. «In questo caso diventa un divertimento, da non prendere troppo sul serio, di cui la persona sente di poter fare a meno perché sa che non è lì, con una mazza in mano, che risolverà i suoi problemi. È meno indicata invece a chi si porta dentro una rabbia costante o molto frequente: in questi casi è raccomandato un aiuto psicologico professionale, per indagare da cosa sia determinato questo stato d’animo e trovare strumenti “leciti” per imparare a dosarlo. La rabbia cronica è sempre indice di un malessere profondo e, secondo gli studi, è spesso associata ad altre problematiche psichiche, come la depressione». Attenzione anche ai caratteri particolarmente irascibili o suscettibili. «Il rischio di un uso sbagliato di queste valvole di sfogo è di “abituarsi” a una manifestazione violenta della rabbia, assuefacendosi all’espressione incontrollata di questa emozione», sottolinea la specialista.

Le alternative

«La rabbia è una delle emozioni primarie: andrebbe, come le altre (paura, gioia, tristezza), integrata nella quotidianità e non scissa o dissociata a luoghi o tempi preposti artificialmente», prosegue. «Va integrata nella nostra vita: dobbiamo ammaestrarci all’espressione costruttiva dell’aggressività, non alla sua espressione distruttiva. Ciascuno trova le proprie strategie di gestione e contenimento delle emozioni negative, ma esistono attività che generalmente permettono di esprimere il rancore e le sensazioni annesse in maniera più armonica, sana e non distruttiva (in gergo psicologico si chiama “sublimazione”). La sessualità e lo sport, per esempio, rappresentano ottimi canali per vivere l’aggressività senza danni. Entrambi, oltre a consentire un lecito “sfogo” fisico, riproducono le dinamiche di una “lotta” e permettono di convogliare in gesti fisici l’aggressività sana, rispettando i limiti nell’interazione con l’altro. Un’altra tecnica costruttiva è il dialogo, che consente di esprimere all’altro ciò che si pensa, anche il disaccordo o la delusione (rompere dei piatti non dà la stessa opportunità di confronto). Una terza modalità è quella della trasformazione, che prevede la possibilità di incanalare la propria naturale aggressività in assertività, determinazione e capacità di autoaffermarsi».

di Roberta Camisasca, Silhouette Donna, febbraio 2019