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Fidarsi della prima impressione?

citazione di Oscar Wilde sulla psicologia della prima impressione

Fidarsi della prima impressione?

Quotidianamente abbiamo occasione di incrociare persone nuove: sul lavoro, nella vita privata, nei locali pubblici… Insomma le opportunità sono moltissime. Può trattarsi di interazioni veloci di pochi secondi oppure di scambi relazionali più intensi.

In questi casi spesso ci chiediamo se è bene fidarci della nostra prima impressione “a pelle” oppure se è più corretto ascoltare il famoso detto “l’abito non fa il monaco” e rimandare ad un secondo momento e ad una conoscenza più approfondita la valutazione, per avere più strumenti per decidere consapevolmente, e non “di pancia”, se desideriamo che il nuovo arrivato faccia parte della nostra vita.

In occasione di un’intervista rilasciata per Starbene, ho voluto approfondire l’argomento in questa sede.

LA PRIMA SENSAZIONE “A PELLE”

Si tratta quindi di una sensazione, ovvero di un’esperienza psicofisica, che coinvolge le emozioni e il sistema nervoso, che ci arriva in modo automatico, non razionale. La persona che incontriamo può piacerci o meno, e spesso, di primo acchito, non riusciamo a capire bene perché. In particolare, il dipartimento di neuroscienze sociali dell’università Sapienza di Roma, è riuscito a misurare attraverso una termocamera le variazioni (involontarie e non controllabili) della temperatura facciale dei soggetti che venivano in contatto con delle persone estranee. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences.

Questo meccanismo automatico e “viscerale” di valutazione ci aiuta nella cosiddetta “categorizzazione sociale”, ovvero il processo tramite il quale includiamo le persone nella nostra vita sociale o piuttosto decidiamo di escluderle.

E’ BENE FIDARSI DELLE PROPRIE SENSAZIONI?

Innanzitutto è utile ricordare che il nostro inconscio è in grado di cogliere gli aspetti del mondo esterno, e quindi anche l caratteristiche delle persone, ancor prima che queste impressioni arrivino ad un livello di consapevolezza. Un esempio è la reazione di attacco/fuga di fronte ad un pericolo: la nostra mente ci “avverte” ancor prima che la minaccia possa venire colta e rielaborata dal pensiero cosciente, e prepara il nostro corpo alla reazione in modo completamente automatico: il cuore inizia a battere più intensamente, l’adrenalina ci fornisce l’energia per scappare velocemente o per lottare, e così via. Si tratta di un meccanismo che scatta prontamente ed ha uno scopo difensivo ed evolutivo finalizzato alla sopravvivenza. Tuttavia, nel mondo contemporaneo occidentale, raramente ci troviamo di fronte ad un pericolo di tale entità.
Ben più frequente è la situazione in cui la nostra “pancia” deve valutare un nuovo volto e una nuova persona.

Sicuramente è importante ascoltare le sensazioni “a pelle”: il nostro inconscio ci può fornire dei preziosi indicatori per catalogare le situazioni, le cose e le persone che incontriamo quotidianamente. Le sensazioni che arrivano dal preconscio o dall’inconscio possono essere davvero dei grandi alleati, e quindi è utile ascoltarle quando ci comunicano qualcosa di negativo che arriva dall’esterno.

QUALI SONO I RISCHI DI UNA VALUTAZIONE SUPERFICIALE?

Tale ascolto però può essere pericoloso quando le sensazioni negative che percepiamo sono basate sulla paura “nuovo” o del “diverso”, o sull’appartiene ad un altro gruppo (sociale, politico, religioso). In questi casi, facilmente tale atteggiamento può sfociare in un pregiudizio o in un generico atteggiamento di rifiuto. Diventa allora facile scivolare in categorizzazioni semplicistiche e riduttive che ci possono portare a fare degli errori di valutazione con importanti ripercussioni a livello sociale.

Inoltre, il rischio può essere quello di catalogare velocemente una persona come “negativa”, perdendo così l’occasione, magari, di incontrare qualcuno/a di interessante o di arricchire il nostro bagaglio di conoscenze.

IL PARADOSSO

Talvolta può verificarsi anche il fenomeno opposto: in alcuni casi sono proprio le caratteristiche “negative” dell’altra persona ad attrarci. Questo accade se tali caratteristiche ci ricordano o rimandano a peculiarità simili a quelle di chi si è preso cura di noi quando eravamo bambini, nella maggior parte dei casi i nostri genitori. Se per esempio ho avuto un genitore assente o maltrattante, talvolta la nostra mente, che tende fisiologicamente a ripetere le esperienze e le reazioni emotive passate, secondo un fenomeno chiamato dalla psicoanalisi “coazione a ripetere”, può sentirsi attratta proprio dalle persone che possiedono quelle caratteristiche “negative”.

COSA FARE DUNQUE?

Il consiglio è quindi non solo di ascoltare accuratamente le prime, utilissime impressioni ed emozioni che ci arrivano quando incontriamo una persona, ma anche di spendere qualche minuto in più per sondare motivazioni che si trovano alla base del sentimento che proviamo e di queste impressioni iniziali. Può trattarsi di memorie emotive antiche: magari quella persona, o il suo nome, ci ricordano qualche personaggio del passato o qualche situazione già vissuta? Ci si può interrogare quindi su analogie e differenze, e se facciamo un po’ di autoanalisi, potremo scoprire delle informazioni interessanti su noi stessi, di cui fare tesoro anche per il futuro. E questo gioverà anzitutto alla nostra crescita personale.